Descrizione del termine giuridico Buon costume:
Nella giurisprudenza italiana, il concetto di “buon costume” ricopre un ruolo di particolare rilievo e fungere da limite ad alcuni diritti soggettivi, in particolare nei casi di esercizio di libertà personali e contratti. Questa espressione si riferisce ad un insieme di regole morali, sociali e culturali considerate accettabili dalla comunità, le quali variano a seconda dell’epoca, del luogo e della composizione sociale. Il riferimento ai buon costume serve quindi come parametro di adeguatezza del comportamento, spesso invocato in materia di diritto civile e penale.
L’ordine pubblico e i buon costume sono infatti invocati come limiti relativi sia alle libertà individuali sia alla liceità degli atti giuridici, vale a dire che un atto, anche se formalmente e proceduralmente corretto, può essere considerato nullo o annullabile qualora trasgredisse tali limiti. Questo si evidenzia nell’ambito del diritto di famiglia, dei contratti, del diritto del lavoro e in altre molteplici applicazioni normative.
Ad esempio, nell’ambito contrattuale, una clausola che violi i buon costume sarà ritenuta nulla: un contratto che preveda prestazioni illecite o immorali non sarà giuridicamente tutelato. Analogamente, certe manifestazioni di diritti personali, come la libertà di espressione o la libera manifestazione del pensiero, possono essere soggette a restrizioni quando entrano in contrasto con i buon costume.
In termini più ampi, questi ultimi rappresentano quindi una sorta di baluardo della moralità sociale e vengono evocati per garantire che l’ordine giuridico si mantenga in sintonia con i canoni etici e culturali prevalenti nella società. La valutazione relativa ai buon costume è affidata in prevalenza agli organi giudiziari, i quali operano un’interpretazione che tiene conto dell’evolversi dei costumi sociali e delle circostanze del caso concreto.
Contesto giuridico in cui il termine Buon costume può essere utilizzato:
Esempio concreto di riferimento ai buon costume si può osservare nelle questioni che coinvolgono la pubblicità. Se una campagna pubblicitaria utilizza immagini o messaggi che sono degradanti o discriminatori, può essere oggetto di sanzioni o divieti, in quanto contrari ai buon costume. La disciplina della pubblicità, normata anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, si basa sulla necessità che i messaggi pubblicitari non siano lesivi della dignità umana né contrari ai principi della corretta informazione e trasparenza. Se, ad esempio, una campagna pubblicitaria dovesse ritrarre il corpo femminile in maniera volgare o meramente oggettificante, questa potrebbe essere censurata, nonostante la libertà di espressione commerciale, poiché tali pratiche sono considerate lesive dell’immagine della donna e, di conseguenza, contrarie ai principi di buon costume accettati dalla comunità.
Un altro ambito in cui il riferimento ai buon costume assume rilevanza è nel diritto di famiglia. Si consideri il caso di unioni civili o di convivenze in cui le parti definiscono accordi che regolamentano aspetti patrimoniali o personali della loro vita in comune. Se tali accordi includessero, ad esempio, clausole che impongano condotte sessuali specifiche o considerate immorali, questi accordi potrebbero essere dichiarati nulli in quanto in contrasto con i buon costume vigenti nel contesto sociale.
L’importanza del rispetto dei buon costume nel panorama giuridico italiano è indice dell’attenzione che il nostro sistema legale riserva all’armonizzazione tra diritti individuali e valori condivisi dalla comunità, garantendo una coesistenza civile basata su principi etici e di rispetto reciproco.